La destinazione florovivaistica della cannabis sativa L.

Qualche tempo fa avevo avuto modo di occuparmi delle questioni attinenti all’inquadramento giuridico delle coltivazioni destinate al florovivaismo di cui all’art. 2 lett. g) della L. n. 242/2016

https://www.studiolegalebulleri.eu/2018/02/27/parere-florovivaismo/

Dopo circa 2 anni ritengo sia opportuno aggiornare le riflessioni sulla materia a seguito delle recenti evoluzioni giurisprudenziali di cui alla sentenza n. 30475/2019 delle SS.UU. della Corte della Cassazione e degli orientamenti espressi dal Ministero competente.

Innanzitutto occorre ribadire il corretto inquadramento della nozione di florovivaismo.

Per florovivaismo, come già avevo avuto modo di osservare illo tempore, si intende (nella definizione dell’Enciclopedia Treccani) quella Attività professionale di produzione e commercializzazione di fiori recisi e di piante in un complesso di serre e vivai

L’art. 2 lett g) della L. n. 242/2016 ha espressamente ritenuto lecita la destinazione florovivaistica delle coltivazioni di cannabis sativa L. provenienti da sementi certificate.

Fino a qui tutto apparirebbe lineare, ma, purtroppo, quando parliamo di canapa, occorre sempre confrontarsi con retaggi culturali e con evidenti forzature interpretative, in senso restrittivo, che spesso hanno mirato a limitare le possibili applicazioni della canapicoltura.

La destinazione florovivaistica della canapa è chiaramente lecita per espressa previsione della L. n. 242/2016, ma restano da definire i contorni delle possibili applicazioni.

Al fine di delineare l’ambito ed i confini della destinazione florovivaistica della cannabis occorre partire da alcuni punti fermi che possono essere riassunti in 3 punti.

  1. La normativa di settore

Quando parliamo di florovivaismo facciamo riferimento ad un settore che risulta disciplinato da alcune norme che possono essere così riassunte:

– Direttiva 98/56/CE del Consiglio del 20.07.1998 relativa alla commercializzazione dei materiali di moltiplicazione delle piante ornamentali;

– D.Lgs. n. 151/2000 di attuazione della predetta direttiva;

– D.M. 9.08.2000 di recepimento delle direttive della Commissione n. 99/66/CE, n. 99/67/CE, n. 99/68/CE e n. 99/69/CE del 28.06.1999 relative alle norme tecniche sulla commercializzazione dei materiali di moltiplicazione delle piante ornamentali, in applicazione del D.Lgs. n. 151/2000;

– Direttiva 2002/89/CE concernente le misure di protezione contro l’introduzione e la diffusione nella Comunità di organismi nocivi ai vegetali o ai prodotti vegetali;

– D.lgs. n. 214/2005 di attuazione di tale Direttiva;

– D.M. 3.08.2018, pubblicato in Gazz. Uff.- in data 15.09.2018, recante la determinazione dei requisiti di professionalità e della dotazione minima delle attrezzature occorrenti per l’esercizio dell’attività di produzione, commercio e importazione di vegetali e prodotti vegetali;

Tali norme contengono al loro interno l’ambito di applicazione della normativa con importanti specifiche terminologiche e definitorie, oltre che l’indicazione del regime autorizzativo ed i requisiti per l’esercizio dell’attività florovivaistica.

In particolare l’art. 2 del D.lgs. n. 214/2005 chiarisce le definizioni stabilendo che per “vegetali” si intendono:

  • Le piante vive;
  • Le parti di piante vive che comprendono:
  1. a) i frutti, in senso botanico, diversi da quelli conservati con surgelamento;
  2. b) le verdure, diverse da quelle conservate con surgelamento;
  3. c) i tuberi, i bulbi, i rizomi;
  4. d) i fiori recisi;
  5. e) i rami con foglie;
  6. f) gli alberi tagliati, con foglie;
  7. g) le foglie e il fogliame;
  8. h) le colture di tessuti vegetali;
  9. i) il polline vivo;
  10. l) le gemme, le talee, le marze;

3) le sementi, intese in senso botanico, come i semi  destinati alla piantagione

Per “prodotti vegetali” invece si intendono “i  prodotti  di  origine  vegetale  non trasformati o che hanno subito un trattamento semplice,  purche’  non si tratti di vegetali”

Per “piantagione” si intende “qualsiasi operazione per la  messa  a  dimora  di vegetali allo scopo di assicurarne la crescita o la riproduzione o la moltiplicazione”;

Per “vegetali destinati alla piantagione” si intendono:

      1) vegetali già piantati e destinati a rimanere piantati o  ad essere ripiantati dopo la loro introduzione;

      2)  vegetali  non  ancora  piantati  al  momento   della   loro introduzione, ma destinati ad essere piantati in seguito;

Già da tale impostazione si comprende come il florovivaismo non riguardi soltanto le piante, bensì i vegetali che consistono in piante, parti di piante (inclusi fiori recisi e foglie) e sementi.

Al contempo, l’attività florovivaistica si concretizza nel porre in essere ogni operazione per la messa a dimora di vegetali allo scopo di assicurarne la crescita, la riproduzione o la moltiplicazione, precisando come i vegetali destinati ad essere piantati possano essere vegetali (e quindi piante, parti di piante o sementi) destinati a rimanere piantati o ad essere ripiantati oppure vegetali non ancora piantati al momento della loro introduzione, ma destinati ad esser e piantati in seguito.

Appare pertanto evidente come il dettato normativo sia estremamente ampio a livello definitorio e non preveda limitazioni alle operazioni che possono essere compiute in ambito florovivaistico per assicurare la crescita, la riproduzione o la moltiplicazione dei vegetali.

Le restrizioni sono infatti espressamente previste dal titolo II e sono limitate all’introduzione ed alla diffusione di organismi nocivi sia in senso assoluto sia con le specifiche delimitazioni geografiche di cui agli allegati I e II, nonché al divieto di introdurre e commercializzare i vegetali ed i prodotti vegetali di cui agli allegati III e IV.

In tali allegati non vi è alcuna menzione della cannabis sativa L. che, infatti, è prevista come coltivazione florovivaistica dall’art. 2 lett. g) della L. n. 242/2016.

Ulteriori limitazioni riguardano poi il commercio itinerante, al di fuori dei pubblici mercati, di semi, piante o parti di piante destinati alla coltivazione da parte di soggetti che svolgono tale attività a titolo professionale, così come è vietata (ovviamente) la commercializzazione di vegetali che presentino infezioni, infestazioni da parte di organismi nocivi.

La ratio della normativa è chiara ossia quella di limitare la diffusione di vegetali o prodotti vegetali che possano essere nocivi in senso assoluto o per particolari zone geografiche.

Il medesimo D.Lgs. disciplina poi il regime autorizzativo per “chiunque svolge  attività  di  produzione  e  commercio   dei vegetali, prodotti vegetali ed altre voci disciplinate  dal  presente decreto” con le specifiche di cui all’art. 19 prevedendo che:

  1. a) I produttori di  piante  e  dei   relativi   materiali   di propagazione, comprese le sementi, destinati alla vendita o  comunque ad essere ceduti a terzi, a qualunque  titolo,  con  l’esclusione  di coloro che  moltiplicano  sementi  per  conto  di  ditte  autorizzate all’attivita’  sementiera  o  cedono   piante   adulte   ad   aziende autorizzate ai sensi del presente articolo;
  2. b) i commercianti all’ingrosso di piante e dei relativi materiali di propagazione, compresi i tuberi-seme, escluse le sementi se gia’ confezionate ed etichettate da terzi;
  3. c) gli importatori da Paesi terzi dei  vegetali,  dei  prodotti vegetali o altre voci di cui all’allegato V, parte B;
  4. d) i produttori, i centri di raccolta collettivi,  i  centri  di trasformazione  o  i  centri  di  spedizione,  che   commercializzano all’ingrosso tuberi di Solanum tuberosum L. destinati  al  consumo  o frutti di Citrus L., Fortunella Swingle,  Poncirus    e  relativi ibridi, situati nelle zone di produzione di detti vegetali;
  5. e) i produttori e i commercianti all’ingrosso di legname di cui all’allegato V, parte A.
  6. Sono esonerati dal possesso dell’autorizzazione di cui al comma 1 i commercianti al  dettaglio  che  vendono  vegetali  e  prodotti vegetali a persone non professionalmente impegnate  nella  produzione dei vegetali ed i produttori di patate da consumo  e  di  agrumi  che conferiscono a centri  di  raccolta  autorizzati  oppure  che  cedono direttamente a utilizzatori finali.

La distinzione, a livello autorizzativo, concerne, da un lato, i produttori ed i “grossisti” (che devono essere autorizzati) e, dall’altro, i commercianti che vendono vegetali o prodotti vegetali a soggetti non professionalmente impegnati in attività florovivaistiche o direttamente ai consumatori finali (che invece non necessitano dell’autorizzazione fitosanitaria di cui all’art. 19).

Altre norme rilevanti sono rappresentate poi dall’art. 20 inerente all’iscrizione al RUP e dagli art. 25-30 in materia di passaporto delle piante.

Le altre fonti del diritto sopra menzionate ed, in particolare, il recente D.M. 3.08.2018, determinano poi i requisiti di professionalità e di dotazione minima delle attrezzature occorrenti per l’esercizio dell’attività florovivaistica.

Infine una menzione particolare merita il D.Lgs. n. 151/2000 recante norme sulla “commercializzazione dei materiali di moltiplicazioni delle piante ornamentali” .

In primo luogo, occorre sottolineare come tale decreto non si applichi ai materiali di moltiplicazione di cui sia comprovata la destinazione verso Paesi terzi.

In secondo luogo tale decreto fornisce fondamentali indicazioni di carattere definitorio, precisando all’art. 2 che per “materiali di moltiplicazione” si intendono “i vegetali destinati alla moltiplicazione o alla produzione di piante ornamentali; tuttavia in caso di produzione da piante intere, la definizione si applica al materiale di partenza soltanto se la pianta ornamentale risultante è destinata ad un’ulteriore commercializzazione”.

Per “moltiplicazione” si intende la “riproduzione vegetativa o con altri mezzi”.

Anche in questo caso non sussistono limitazioni di legge per l’attività di moltiplicazione che può essere effettuata con ogni mezzo e non vi è dubbio che piante o parti di essa (fiori inclusi) costituiscano materiali di moltiplicazione così come definiti dall’art. 2 del D.Lgs. n. 151/2000.

Ne consegue che la previsione di cui all’art. 2 lett. g) della L. n. 242/2016 abbia fatto rientrare la cannabis sativa L. proveniente da sementi certificati nell’ambito di applicazione sia del D.Lgs. n. 151/2000 sia del D.Lgs. n. 214/2005.

  1. L’interpretazione del MIPAAFT

Entrata in vigore la L. n. 242/2016 il MIPAAFT si è occupato del florovivaismo con la circolare n. 5059 del 22.05.2018 già commentata in altro articolo al quale si rimanda

https://www.studiolegalebulleri.eu/2018/05/24/la-liceita-delle-infiorescenze-di-canapa-sativa-l-ed-i-chiarimenti-sulla-l-n-242-2016/

secondo la quale:

  1. E’ consentita la riproduzione di piante di canapa esclusivamente da seme certificato;
  2. Non è consentita la riproduzione per via agamica di materiale destinati alla produzione per successiva commercializzazione di prodotti da essa ottenuti;
  3. Gli obblighi a carico del vivaista sono i medesimi previsti per l’agricoltore ai sensi dell’art. 3 L. n. 242/2016 (conservazione cartellino semente e fattura di acquisto per dodici mesi);
  4. Libera vendita di piante ornamentali di canapa senza necessità di autorizzazione;
  5. Attività vivaistica regolamentata da artt. 19 e 20 D.Lgs. n. 214/2005;
  6. Importazioni a fini commerciali di piante di canapa da altri paesi non rientrano nell’ambito della di applicazione della L. n. 242 del 2016 e, in ogni caso, devono rispettare la normativa comunitaria e nazionale vigente.

Tale circolare presenta un contenuto piuttosto “criptico” in quanto sembrerebbe introdurre limitazioni all’attività florovivaistica della canapa senza fornire un adeguato supporto logico e giuridico.

Da tale impostazione si evince infatti che l’attività di riproduzione sarebbe limitata alla sola riproduzione per via gamica con esclusione della via agamica (talee ecc.) e con la contestuale esclusione dell’importazione a fini commerciali delle piante di canapa dalla L. n. 242/2016 che sarebbe invece rimessa alla generale normativa comunitaria e nazionale vigente.

Da ciò non può che discendere una evidente contraddizione. Da un lato non si potrebbe fare attività di riproduzione agamica in Italia “per la successiva commercializzazione dei prodotti da essa ottenuti”  ma ben si possono importare piante di canapa dall’estero riprodotte per via agamica (!), attività peraltro espressamente consentita dalla normativa sopra richiamata di cui al D.LGs. n. 214/2005.

Il paradosso appare evidente in quanto si escluderebbe in sostanza la facoltà di fare talee in Italia, ma ben si possono importare le stesse talee dall’estero.

Inoltre il limite alla riproduzione per via agamica riguarderebbe la commercializzazione dei prodotti ottenuti dalla talea ossia quei prodotti  di  origine  vegetale (non trasformati o che hanno subito un trattamento semplice,  purche’  non si tratti di vegetali) secondo la definizione dell’art. 2 del Dlgs. n. 214/2005.

Ma, proprio in virtù di tale norma, i “prodotti vegetali” differiscono dai “vegetali”, i quali invece consistono in piante, parti di piante e sementi.

Ne consegue che l’asserito limite alla riproduzione per via agamica appare assolutamente contraddittorio e comunque limitato ad una ristretta cerchia di prodotti, dal momento che il florovivaismo, per definizione, è quell’insieme di attività volte ad assicurare la crescita, la riproduzione e la moltiplicazione dei vegetali.

Ma vi è di più. Tale impostazione sembra prescindere (o non conoscere) le previsioni del D.M. 5.04.2011, pubblicato in Gazz. Uff. in data 16.06.2011, recante “criteri per l’iscrizione di varietà di canapa al registro nazionale delle varietà di specie agrarie”.

L’allegato 3.5 di tale D.M., infatti, prevede un “protocollo per l’esecuzione della prova per la valutazione del valore agronomico e di utilizzazione di varietà a moltiplicazione vegetativa.

Al di là degli aspetti procedurali introdotti con tale D.M., ciò che emerge ictu oculi è che la moltiplicazione vegetativa della cannabis sativa L. risulti un’attività lecita, tanto che è previsto uno specifico protocollo per la valutazione del valore agronomico e di utilizzazione della canapa così riprodotta. Viceversa avremo un D.M. vigente avente oggetto illecito (!).

La medesima circolare, poi, riconosce come le infiorescenze di cannabis sativa L. costituirebbero il prodotto della filiera florovivaistica.

In questo caso siamo alla constatazione dell’ovvio: un fiore reciso, in quanto parte di pianta, è un vegetale per definizione di legge e, come tale, oggetto – lecito – dell’attività florovivaistica.

Non si può dubitare che aver sancito la liceità della coltivazione di canapa finalizzata al florovivaismo implica inevitabilmente la possibilità di produrre, riprodurre e moltiplicare vegetali ossia piante e parti di piante (compresi fiori e foglie).

Al contrario una limitazione sussiste per le sole sementi ai sensi della previsione di cui all’art. 7 della L. n. 242/2016 che ha limitato la riproduzione delle sementi per 1 solo anno per scopi didattici o di ricerca per i soli enti di ricerca pubblici, le Università e le agenzie regionali per lo sviluppo e l’innovazione.

Mentre per le piante e le parti di pianta non vi è alcun limite di legge.

Ad ogni modo si può riassumere come la coltivazione di cannabis sativa L. destinata al florovivaismo (pur persistendo l’obbligo di utilizzo di sementi certificate) rientra nell’ambito di applicazione del D.Lgs. n. 151/2000.

Da ciò deriva il conseguente regime autorizzativo per gli operatori del settore secondo cui coloro che producono piante destinate alla vendita ai commercianti di fiori e piante, siano essi grossisti o dettaglianti, devono essere in possesso delle autorizzazioni di cui al D.lgs n. 214/2005 (patentino fitosanitario ed iscrizione al RUOP).

La produzione di piante e parti di piante (quali foglie, fronde, infiorescenze e talee ornamentali) rientra nelle attività lecite con la specifica che si tratti di un “prodotto finale” non suscettibile di ulteriore produzione florovivaistica.

Tale ultima indicazione, anche se presenta molti dubbi come sopra esposto, rappresenta la linea interpretativa attualmente seguita in materia dal MIPAAFT in carattere di continuità con le indicazioni contenute nella circolare n. 5059/2018.

Pertanto, in sostanza, i vincoli relativi all’attività florovivaistica per la cannabis sativa L. sono:

  • Utilizzo di sementi certificate;
  • Tracciabilità semente-pianta;
  • Tenore massimo di THC previsto dalla legge
  • Possesso della autorizzazioni previste dalla normativa florovivaistica

Quindi ai sensi dell’art. 2, lett g) della L. n. 242/2016 non vi è dubbio che l’attività di produzione, riproduzione e moltiplicazione di cannabis sativa L. sia pienamente lecita per quanto attiene sia alla pianta sia a parti di piante (compresi i fiori) con destinazione ornamentale al pari di altri piante o fiori.

Tale assunto non è – e non può essere – messo in discussione stante l’espressa norma di legge, nonché la dettagliata normativa di settore inerente il florovivaismo.

  • La portata della sentenza delle SS.UU. della Corte di Cassazione n. 30475/2019

Analizzato il chiaro ambito normativo inerente la materia del florovivaismo, occorre adesso valutare l’impatto della pronuncia delle Sezioni Unite n. 30475/2019 che ha destato molto clamore  soprattutto a livello mediatico.

A ben vedere, al di là delle strumentalizzazioni politiche, il contenuto di tale sentenza non ha (e non avrebbe potuto) inficiato il quadro normativo sopra delineato.

La Corte di Cassazione, infatti, ha chiaramente evidenziato come la cannabis (nelle sue componenti di fiori, foglie, olio e resine come riportato in tabella II del DPR 309/1990) sia inclusa tra le sostanze stupefacenti e preveda le sole eccezioni chiaramente previste dalla legge per la sua produzione che si sostanziano nelle analoghe previsioni dell’art. 26 DPR 309/1990 e art. 1 della L. n. 242/2016.

In Italia è pertanto possibile coltivare canapa cd. industriale (ossia proveniente da varietà certificate) purchè tale produzione sia finalizzata agli usi industriali espressamente e tassativamente elencati dall’art. 2 della L. n. 242/2016, non sussistendo ulteriori margini nel nostro ordinamento per utilizzi o impieghi diversi da essi.

In sostanza è vietata la produzione e la cessione a qualsiasi titolo di cannabis al di fuori delle ipotesi tassativamente previste dalla legge –  ossia dalle norme comunitarie e dall’art. 2 della L. n. 242/2016.

Ciò che risulta vietato è, per utilizzare la terminologia della Corte, “l’estrazione o la commercializzazione di alcun derivato della cannabis con funzione stupefacente o psicotropa. Pertanto, dalla coltivazione di cannabis sativa L. non possono essere lecitamente realizzati prodotti diversi da quelli elencati dall’art. 23, comma 2, legge n. 242 del 2016”.

Per le Sezioni Unite, poi, “non si rinviene alcun dato testuale, né alcuna indicazione di ordine sistematico, come chiarito, che possa giustificare la tesi – che pure è stata espressa – volta a far rientrare le infiorescenze della canapa nell’ambito delle coltivazioni destinate al florovivaismo”.

Tale assunto appare francamente incomprensibile stante il quadro normativo sopra delineato secondo cui i fiori recisi (e le foglie) sono semplicemente vegetali e/o materiali di moltiplicazioni per espressa previsione della norma di legge che non può certamente essere derogata da una sentenza seppure autorevole.

Per comprendere la portata delle affermazioni della Corte occorre contestualizzare e comprendere l’ambito e l’oggetto dell’intervento degli Ermellini.

La Corte, infatti, si è pronunciata in sede penale per stabilire se la condotta di cessione di infiorescenze di canapa (nella forma della cd. cannabis light) costituisca o meno condotta penalmente rilevante.

Rispondendo a tale quesito, le Sezioni Unite hanno escluso che tali condotte siano riconducibili alla L. n. 242/2016 (che ha carattere tassativo) ed escludendo così la configurabilità del reato dell’art. 73 in caso di cessione di prodotti di cannabis privi di efficacia drogante.

In pratica è illecito ciò che sta “fuori” dalla L. n. 242/2016 non certamente ciò che invece sta “dentro”.

Tralasciando in questa sede ogni considerazione circa i concetti di “efficacia drogante” e del principio di offensività, ciò che invece emerge dalla sentenza è la piena liceità della destinazione florovivaistica della cannabis sativa L. in quanto espressamente prevista dalla norma di legge.

Ne consegue che la destinazione florovivaistica consenta di per sé la possibilità di produrre e commercializzare piante e parti di piante, compresi – indipendentemente da come la possa pensare la Cassazione o il politico di turno – fiori recisi e foglie.

Va da sé che la destinazione delle piante e di parti di piante debba essere ad uso ornamentale, non sussistendo nel nostro ordinamento, allo stato, alcuno spazio per destinazioni diversi quali l’”uso tecnico” o “collezionismo” né tantomeno per ogni utilizzo di tipico ludico-ricreativo in quanto non previsti dalla legge e, pertanto, rientranti nella disciplina del DPR 309/1990, salvo che siano in concreto prodotti privi di efficacia drogante.

Ciò che è vietato, in sostanza, è produrre e vendere sostanze stupefacenti, non certamente piante o parti di esse con destinazione ornamentale.

Conseguentemente, si deve ritenere lecita la produzione e la commercializzazione di piante e parti di piante di cannabis sativa L. per uso ornamentale nel rispetto della disciplina in materia di florovivaismo sopra delineata, condotta che sfugge ad ogni possibilità – anche teorica – di applicazione della disciplina penale in quanto, da un lato, tale destinazione è espressamente prevista dall’art. 2 lett. g) della L. n. 242/2016 e, dall’altro, la pianta o i fiori recisi sono comunque in concreto privi di efficacia drogante secondo il principio di offensività della condotta in quanto presentano comunque limiti di THC inferiori a quelli di legge.

Inoltre, sotto il profilo puramente logico-giuridico, la destinazione ornamentale, essendo espressamente prevista dalla legge, esclude di per sé ogni diverso utilizzo, a differenza dell’”uso tecnico” o per “collezionismo” che, al contrario, non trovano ancora alcuna espressa menzione normativa.

Ne consegue che proprio la destinazione ornamentale, di per sé non destinata ad essere assunta dall’uomo, consente di risolvere anche la vexata quaestio dell’efficacia drogante.

Non essendo destinate ad essere consumate dall’uomo, piante  e parti di esse di cannabis sativa L., serviranno pertanto ad decorare un ambiente, al pari di ogni altra pianta ornamentale.

Si consideri l’esempio dell’oleandro, il quale, pur presentando un elevatissimo e notorio livello di tossicità, può comunque essere venduto e destinato all’uso ornamentale in quanto non destinato ad essere consumato dall’uomo.

In ogni caso, nella fattispecie della cannabis sativa L., l’efficacia drogante è esclusa dagli stessi tenori di THC presenti nelle varietà certificate, i quali saranno sempre in concreto privi di ogni effetto psicotropo.

Concludendo, appare evidente che, anche in questo caso, come più e più volte evidenziato, sia necessario un coordinamento tra le norme di legge, attività che presuppone però la conoscenza delle medesime e del sistema delle fonti del diritto.

La questione, in realtà, è di tipo culturale (e politica). Ogni volta che viene trattata la materia canapa, infatti, sembra che si debba prescindere dall’impiego degli ordinari strumenti giuridici, tendendo – troppo spesso – a preferire astruse (e strumentali) costruzioni ed argomentazioni giuridiche rispetto alla semplice applicazione della normativa vigente che – volenti o nolenti – disciplina la canapa industriale come un prodotto agricolo e, nella fattispecie in esame, come una coltivazione destinata al florovivaismo.